Risoluto, William pagò il suo pasto, si avvolse nel mantello e se ne andò. Non pioveva, il che era una buona cosa.
Era gennaio, però, e le giornate erano ancora corte; le ombre si allungavano mentre si avvicinava al limite della marea di persone nel campo che si erano formate intorno all'esercito. Percorse la sua strada superando un gruppo di lavandaie, i loro bollitori tutti fumanti nell'aria fredda e l'odore di fumo e liscivia che incombeva su di loro in una sorta di foschia quasi da streghe.
"Doppio, doppio lavoro e guai", recitò sottovoce, "Il fuoco brucia e il paiolo bolle. Filetto di serpente di palude, nel paiolo bolle e cuoce. Occhio di tritone e dito di zampa di rana, peli di pipistrello e lingua di cane..."* Non riuscì a ricordare ciò che veniva dopo e rinunciò a sforzarsi.
Al di là delle lavandaie, il terreno era smosso, macchie paludose intervallate da parti più alte di terreno, circondate da alberi rachitici e bassi cespugli - e ovviamente fornivano una base, per così dire, per le prostitute per esercitare il loro mestiere.
Si tenne a debita distanza e di conseguenza si trovò a camminare attraverso qualcosa che non era proprio una palude, ma poco ci mancava. Era straordinariamente bella, però, in una sorta di passaggio di chiaroscuro, la luce morente in qualche modo faceva spiccare ogni sterile ramoscello in netto contrasto con l'aria, le gemme spuntate ancora dormienti, ma arrotondate, in equilibrio tra la morte dell'inverno e la vita della primavera. Desiderava avere un momento per poterlo disegnare, o dipingere o scrivere poesie, ma tant'è, poteva solo fermarsi pochi secondi ad ammirarlo.
Mentre lo faceva, però, sentì una forma di stabilità nel suo cuore, la tranquilla convinzione che anche se aveva solo quei pochi secondi, li avrebbe avuti per sempre, sarebbe potuto tornare in quel posto, questa volta nella sua mente.
Aveva ragione, anche se non per i motivi che credeva.
*dalla scena delle tre streghe di Macbeth di William Shakespeare
Era gennaio, però, e le giornate erano ancora corte; le ombre si allungavano mentre si avvicinava al limite della marea di persone nel campo che si erano formate intorno all'esercito. Percorse la sua strada superando un gruppo di lavandaie, i loro bollitori tutti fumanti nell'aria fredda e l'odore di fumo e liscivia che incombeva su di loro in una sorta di foschia quasi da streghe.
"Doppio, doppio lavoro e guai", recitò sottovoce, "Il fuoco brucia e il paiolo bolle. Filetto di serpente di palude, nel paiolo bolle e cuoce. Occhio di tritone e dito di zampa di rana, peli di pipistrello e lingua di cane..."* Non riuscì a ricordare ciò che veniva dopo e rinunciò a sforzarsi.
Al di là delle lavandaie, il terreno era smosso, macchie paludose intervallate da parti più alte di terreno, circondate da alberi rachitici e bassi cespugli - e ovviamente fornivano una base, per così dire, per le prostitute per esercitare il loro mestiere.
Si tenne a debita distanza e di conseguenza si trovò a camminare attraverso qualcosa che non era proprio una palude, ma poco ci mancava. Era straordinariamente bella, però, in una sorta di passaggio di chiaroscuro, la luce morente in qualche modo faceva spiccare ogni sterile ramoscello in netto contrasto con l'aria, le gemme spuntate ancora dormienti, ma arrotondate, in equilibrio tra la morte dell'inverno e la vita della primavera. Desiderava avere un momento per poterlo disegnare, o dipingere o scrivere poesie, ma tant'è, poteva solo fermarsi pochi secondi ad ammirarlo.
Mentre lo faceva, però, sentì una forma di stabilità nel suo cuore, la tranquilla convinzione che anche se aveva solo quei pochi secondi, li avrebbe avuti per sempre, sarebbe potuto tornare in quel posto, questa volta nella sua mente.
Aveva ragione, anche se non per i motivi che credeva.
*dalla scena delle tre streghe di Macbeth di William Shakespeare