Con calma, tolse la mano dal chiavistello e si voltò indietro. Decise che avrebbe aspettato un quarto d’ora. Se qualcosa doveva succedere, sarebbe stato verosimilmente rapido. Non poteva attardarsi nel piccolo giardino sul fronte, né certamente appostarsi dietro le finestre. Costeggiò il giardino e scese sul lato della casa, verso il retro.
Il giardino sul retro era considerevolmente grande, con un appezzamento coltivato, arato per l’inverno, ma dal quale spuntavano ancora alcuni ciuffi di cavoli. In fondo al giardino c’era un piccolo cucinino e un pergolato di viti potate su uno dei lati, con una panchina sotto. La panchina era occupata da Amaranthus, che teneva il piccolo Trevor contro la sa spalla, dandogli colpetti sulla schiena in maniera pragmatica.
“Oh, salve,” disse, notando William. “Dov’è il vostro amico?”
“Dentro,” rispose. “Sta parlando con Lord John. Pensavo di aspettarlo, ma non vorrei disturbarvi.” Fece per andarsene, ma lei lo fermò, alzando la mano per un attimo, prima di ricominciare con i colpetti.
“Sedetevi,” disse, guardandolo con interesse. “Così voi siete il famoso William. O dovrei chiamarvi Ellesmere?”
“In effetti. E no, non dovete.” Si sedette con attenzione accanto a lei. “Come sta il piccoletto?”
“Estremamente sazio,” disse, con una piccola smorfia. “A momenti… ops, eccoci.” Trevor aveva emesso un sonoro rutto, accompagnato da un spruzzo di latte acquoso che ricadde sulla spalla della madre. Evidentemente questo tipo di esplosioni era usuale; William vide che si era messa un fazzoletto sopra al kaftano per proteggersi, anche se le dimensioni del tessuto sembravano inadeguate per il volume di quanto prodotto da Trevor.
“Mi passereste quello, per favore?” Amaranthus spostò con esperienza il bambino da una spalla all'altra e indicò con la testa un altro fazzoletto piegato che giaceva a terra vicino ai suoi piedi. William lo prese con cautela, ma sembrò essere pulito, per il momento.
“Non ha una balia?” chiese, passandole il fazzoletto.
“Ce l’aveva,” ripose Amaranthus, aggrottando leggermente le sopracciglia mentre ripuliva la faccia del bambino. “L’ho licenziata.”
“Ubriachezza?” chiese, ricordandosi cosa aveva detto Lord John a proposito del cuoco.
“Fra le altre cose. Ubriaca in certe occasioni, troppe, e sporca nei modi.”
“Sporca nel senso di sudicia, o… ehm… come eccessiva promiscuità con l’altro sesso?” Lei rise, nonostante l’argomento.
“Entrambe le cose. Se non sapessi già che siete il figlio di Lord John, questa domanda lo avrebbe reso chiaro. O, piuttosto,” si scusò, stringendo di più il kaftano intorno a sé, “la sua formulazione, più che la domanda in sé. Tutti i Grey, almeno quelli che ho conosciuto finora, parlano in questo modo.”
“Sono il figlio adottivo di Lord John,” rispose tranquillamente. “Qualsiasi somiglianza nel linguaggio dev'essere dovuta all'esposizione, piuttosto che all'ereditarietà.”
Lei fece un piccolo verso d’interesse e lo guardò, con un sopracciglio alzato. I suoi occhi erano di quel colore cangiante fra il grigio e il blu, si accorse lui. Proprio in quel momento, facevano pendant che le colombe grigie ricamate sul suo kaftano giallo.
“È possibile,” disse lei. “Mio padre dice che una razza di fringuello impara a cantare dai suoi genitori; se sposti un uovo da un nido e lo metti in un altro lontano qualche miglio, il pulcino imparerà a cantare dai nuovi genitori, invece che da quelli che hanno depositato l’uovo.”
Reprimendo cortesemente il desiderio di chiedere perché mai qualcuno dovrebbe in qualche modo interessarsi di fringuelli, annuì semplicemente.
“Non sentite freddo, signora?” chiese. Erano seduto al sole e la panchina di legno era calda sotto le sue gambe, ma la brezza che gli soffiava dietro al collo era fredda, e sapeva che lei non stava indossando altro che una sottoveste sotto al suo kaftano. Il pensiero gli riportò alla mente un vivido ricordo della prima volta che l’aveva vista, coi seni gonfi di latte e i capezzoli prominenti in bella mostra, e guardò altrove, cercando immediatamente di pensare a qualcos'altro.
“Qual è il mestiere di vostro padre?” chiese a caso.
“È un naturalista, quando se lo può permettere,” rispose. “E no, non ho freddo. Fa sempre troppo caldo in casa e non credo che il fumo del focolare faccia bene a Trevor; lo fa tossire.”
“Forse il camino non tira bene. Avete detto ‘quando se lo può permettere. ‘Cosa fa vostro padre quando non può permettersi di seguire i suoi… ehm… interessi particolari?”
"È un libraio,” disse, con un leggero tono di sfida. “In [New York? New Jersey? Philadelphia?] “È lì che ho conosciuto Benjamin,” aggiunse, con una leggera stretta nella voce. “Nel negozio di mio padre.” Voltò leggermente la testa, per vedere che ne avrebbe fatto di quelle informazioni. Avrebbe disapprovato la relazione, sapendo ora che era figlia di un commerciante? Probabilmente no, pensò lui sarcasticamente. Viste le circostanze.
“Vi faccio le mie più profonde condoglianze per la perdita di vostro marito, signora,” disse. Si chiedeva che cosa lei sapesse, o piuttosto cosa le fosse stato detto, della morte di Benjamin, ma sembrava indelicato chiedere. E avrebbe fatto meglio a scoprire cosa ne sapevano Papà e lo zio Hal, prima di avventurarsi in un territorio sconosciuto.
“Grazie.” Guardò altrove, con gli occhi bassi, ma vide la sua bocca, una bella bocca, comprimersi in un modo che suggeriva che stesse stringendo i denti.
“Maledetti Continentali!” disse, con improvvisa violenza. Alzò la testa e lui vide che, ben lontani dall'esser pieni di lacrime, i suoi occhi scintillavano di rabbia. “Accidenti a loro e alla loro stupida filosofia! Ostinata, confusionaria, piena di sciocchezze sovversive… io…” Si fermò improvvisamente, rendendosi conto dello stupore di William.
“Vi chiedo di perdonarmi, mio signore,” disse rigidamente. “Sono stata travolta dalle mie emozioni.”
“Molto… giusto,” disse imbarazzato. “Voglio dire, piuttosto comprensibile, date le… ehm… circostanze.” Lanciò un’occhiata verso la casa, ma non si sentiva nessun rumore di porte che si aprivano o di voci che si salutavano. “Chiamatemi William, comunque, siamo cugini, no?”
Questo la fece sorridere. Aveva un bellissimo sorriso.
“Lo siamo. Potete chiamarmi cugina Amaranthus, allora; è una pianta,” aggiunse, con l’aria leggermente rassegnata di chi è spesso obbligato a dare la stessa spiegazione. “Amaranthus palmeri. Della famiglia delle Amaranthacee. Comunemente conosciuto come farinello.”
Il giardino sul retro era considerevolmente grande, con un appezzamento coltivato, arato per l’inverno, ma dal quale spuntavano ancora alcuni ciuffi di cavoli. In fondo al giardino c’era un piccolo cucinino e un pergolato di viti potate su uno dei lati, con una panchina sotto. La panchina era occupata da Amaranthus, che teneva il piccolo Trevor contro la sa spalla, dandogli colpetti sulla schiena in maniera pragmatica.
“Oh, salve,” disse, notando William. “Dov’è il vostro amico?”
“Dentro,” rispose. “Sta parlando con Lord John. Pensavo di aspettarlo, ma non vorrei disturbarvi.” Fece per andarsene, ma lei lo fermò, alzando la mano per un attimo, prima di ricominciare con i colpetti.
“Sedetevi,” disse, guardandolo con interesse. “Così voi siete il famoso William. O dovrei chiamarvi Ellesmere?”
“In effetti. E no, non dovete.” Si sedette con attenzione accanto a lei. “Come sta il piccoletto?”
“Estremamente sazio,” disse, con una piccola smorfia. “A momenti… ops, eccoci.” Trevor aveva emesso un sonoro rutto, accompagnato da un spruzzo di latte acquoso che ricadde sulla spalla della madre. Evidentemente questo tipo di esplosioni era usuale; William vide che si era messa un fazzoletto sopra al kaftano per proteggersi, anche se le dimensioni del tessuto sembravano inadeguate per il volume di quanto prodotto da Trevor.
“Mi passereste quello, per favore?” Amaranthus spostò con esperienza il bambino da una spalla all'altra e indicò con la testa un altro fazzoletto piegato che giaceva a terra vicino ai suoi piedi. William lo prese con cautela, ma sembrò essere pulito, per il momento.
“Non ha una balia?” chiese, passandole il fazzoletto.
“Ce l’aveva,” ripose Amaranthus, aggrottando leggermente le sopracciglia mentre ripuliva la faccia del bambino. “L’ho licenziata.”
“Ubriachezza?” chiese, ricordandosi cosa aveva detto Lord John a proposito del cuoco.
“Fra le altre cose. Ubriaca in certe occasioni, troppe, e sporca nei modi.”
“Sporca nel senso di sudicia, o… ehm… come eccessiva promiscuità con l’altro sesso?” Lei rise, nonostante l’argomento.
“Entrambe le cose. Se non sapessi già che siete il figlio di Lord John, questa domanda lo avrebbe reso chiaro. O, piuttosto,” si scusò, stringendo di più il kaftano intorno a sé, “la sua formulazione, più che la domanda in sé. Tutti i Grey, almeno quelli che ho conosciuto finora, parlano in questo modo.”
“Sono il figlio adottivo di Lord John,” rispose tranquillamente. “Qualsiasi somiglianza nel linguaggio dev'essere dovuta all'esposizione, piuttosto che all'ereditarietà.”
Lei fece un piccolo verso d’interesse e lo guardò, con un sopracciglio alzato. I suoi occhi erano di quel colore cangiante fra il grigio e il blu, si accorse lui. Proprio in quel momento, facevano pendant che le colombe grigie ricamate sul suo kaftano giallo.
“È possibile,” disse lei. “Mio padre dice che una razza di fringuello impara a cantare dai suoi genitori; se sposti un uovo da un nido e lo metti in un altro lontano qualche miglio, il pulcino imparerà a cantare dai nuovi genitori, invece che da quelli che hanno depositato l’uovo.”
Reprimendo cortesemente il desiderio di chiedere perché mai qualcuno dovrebbe in qualche modo interessarsi di fringuelli, annuì semplicemente.
“Non sentite freddo, signora?” chiese. Erano seduto al sole e la panchina di legno era calda sotto le sue gambe, ma la brezza che gli soffiava dietro al collo era fredda, e sapeva che lei non stava indossando altro che una sottoveste sotto al suo kaftano. Il pensiero gli riportò alla mente un vivido ricordo della prima volta che l’aveva vista, coi seni gonfi di latte e i capezzoli prominenti in bella mostra, e guardò altrove, cercando immediatamente di pensare a qualcos'altro.
“Qual è il mestiere di vostro padre?” chiese a caso.
“È un naturalista, quando se lo può permettere,” rispose. “E no, non ho freddo. Fa sempre troppo caldo in casa e non credo che il fumo del focolare faccia bene a Trevor; lo fa tossire.”
“Forse il camino non tira bene. Avete detto ‘quando se lo può permettere. ‘Cosa fa vostro padre quando non può permettersi di seguire i suoi… ehm… interessi particolari?”
"È un libraio,” disse, con un leggero tono di sfida. “In [New York? New Jersey? Philadelphia?] “È lì che ho conosciuto Benjamin,” aggiunse, con una leggera stretta nella voce. “Nel negozio di mio padre.” Voltò leggermente la testa, per vedere che ne avrebbe fatto di quelle informazioni. Avrebbe disapprovato la relazione, sapendo ora che era figlia di un commerciante? Probabilmente no, pensò lui sarcasticamente. Viste le circostanze.
“Vi faccio le mie più profonde condoglianze per la perdita di vostro marito, signora,” disse. Si chiedeva che cosa lei sapesse, o piuttosto cosa le fosse stato detto, della morte di Benjamin, ma sembrava indelicato chiedere. E avrebbe fatto meglio a scoprire cosa ne sapevano Papà e lo zio Hal, prima di avventurarsi in un territorio sconosciuto.
“Grazie.” Guardò altrove, con gli occhi bassi, ma vide la sua bocca, una bella bocca, comprimersi in un modo che suggeriva che stesse stringendo i denti.
“Maledetti Continentali!” disse, con improvvisa violenza. Alzò la testa e lui vide che, ben lontani dall'esser pieni di lacrime, i suoi occhi scintillavano di rabbia. “Accidenti a loro e alla loro stupida filosofia! Ostinata, confusionaria, piena di sciocchezze sovversive… io…” Si fermò improvvisamente, rendendosi conto dello stupore di William.
“Vi chiedo di perdonarmi, mio signore,” disse rigidamente. “Sono stata travolta dalle mie emozioni.”
“Molto… giusto,” disse imbarazzato. “Voglio dire, piuttosto comprensibile, date le… ehm… circostanze.” Lanciò un’occhiata verso la casa, ma non si sentiva nessun rumore di porte che si aprivano o di voci che si salutavano. “Chiamatemi William, comunque, siamo cugini, no?”
Questo la fece sorridere. Aveva un bellissimo sorriso.
“Lo siamo. Potete chiamarmi cugina Amaranthus, allora; è una pianta,” aggiunse, con l’aria leggermente rassegnata di chi è spesso obbligato a dare la stessa spiegazione. “Amaranthus palmeri. Della famiglia delle Amaranthacee. Comunemente conosciuto come farinello.”