Era una salita ripida e lei si ritrovò ansimante, mentre il sudore cominciava a colare dietro le sue orecchie a dispetto della giornata fredda. Suo padre si arrampicava, come al solito, come una capra di montagna, senza la minima parvenza di sforzo, ma – per sua mortificazione – notò i suoi sforzi e la chiamò con un gesto di lato, in cima a una piccola sporgenza.
“Non abbiamo nessuna fretta, a nighean,” le disse sorridendo. “C’è dell’acqua qui.” Tese il braccio, con un’evidente incertezza, e le toccò la guancia arrossata togliendo rapidamente la mano.
“Scusa, ragazza,” disse e sorrise. “Non sono ancora abituato all’idea che tu sia reale.”
“So cosa intendi,” disse dolcemente, e deglutendo, tese il braccio e toccò la sua faccia, calda e ben rasata, gli occhi obliqui di un profondo blu come i suoi.
“Och,” disse a bassa voce, e la prese delicatamente tra le braccia. Lei lo abbracciò forte e rimasero in questo modo, senza parlare, ascoltando le urla dei corvi che volteggiavano in cielo e il gocciolio dell’acqua sulla roccia.
“Vieni a bere, a nighean (Gaelico)” disse, lasciandola andare con la stessa dolcezza con cui l’aveva stretta, e girandola verso un piccolo rivolo che scorreva lungo una fessura tra due rocce. Vieni a bere.
L’acqua era gelata e sapeva di granito e del leggero sapore di trementina degli aghi di pino.
Aveva placato la sete e stava si spruzzando l’acqua sulle guance arrossate quando sentì suo padre fare un movimento improvviso. Si immobilizzò all’istante fissando i suoi occhi su di lui. Anche lui era immobile, ma alzò gli occhi e il mento, facendo segno verso il pendio sopra di loro.
Lo vide allora - e lo sentì – un lento sbriciolarsi di terriccio che si staccò e colpì la sporgenza accanto al suo piede con un piccolo crepitio di ciottoli. Questo fu seguito dal silenzio, eccetto per i richiami dei corvi. Quello era più forte, pensò, come se gli uccelli fossero più vicini. Vedono qualcosa, pensò.
Erano più vicini. Un corvo si librò all’improvviso, mostrandosi in maniera snervante vicino alla sua testa, e un altro gridò dall’alto.
Un suono improvviso dalla roccia in alto le fece quasi perdere l’appoggio, e lei agguantò di riflesso una manciata di alberelli che sporgevano dalla parete rocciosa. Appena in tempo, anche, perché ci fu un tonfo e un rumore di qualcosa che strisciava in alto e in quello che sembrò lo stesso momento qualcosa di enorme cadde in una pioggia di terriccio e ghiaia, rimbalzando sulla sporgenza vicino a lei in un’esplosione di fiato, sangue e impatto prima di atterrare con un tonfo sui cespugli di sotto.
“Beato Michele difendici,” disse suo padre in gaelico, facendosi il segno della croce. Guardò giù nella boscaglia che si muoveva di sotto – Gesù, qualunque cosa fosse, era ancora viva – poi in alto.
“(Mohawk!)” disse un’appassionata voce maschile dall’alto. Non riconobbe le parole, ma conosceva la voce e la gioia si diffuse un lei.
“Ian!” chiamò. Ci fu silenzio totale in alto, eccetto che per i corvi, che stavano diventando sempre più agitati.
”Beato Michele difendici,” disse in gaelico una voce sorpresa, e un istante dopo, suo cugino Ian era sceso sulla loro stretta sporgenza, dove restò in equilibrio senza nessuna apparente difficoltà.
“Sei tu!” disse. “Oh Ian!”
“(Cugina!)” lui la strinse forte ridendo incredulo. “Dio, sei tu!”. Si fece indietro per un momento per dare una buona occhiata di conferma, rise ancora di piacere, la baciò forte e la strinse di nuovo. Odorava di pelle di daino, porridge e polvere da sparo e lei poteva sentire il suo cuore battere contro il suo petto.
Udì vagamente un rumore di sfregamento e mentre si lasciavano, si rese conto che suo padre era sceso dalla sporgenza e stava scivolando lungo la ghiaia di sotto, verso il cespuglio dove il cervo - doveva essere un cervo – era caduto.
Si fermò per un momento ai margini dell’ammasso ispido – i cespugli si stavano ancora muovendo ma i movimenti del cervo ferito stavano diventando meno violenti – quindi estrasse il suo pugnale e con un mormorio in gaelico, camminò con circospezione verso il cespuglio.
“È tutto rovi di rose laggiù,” disse Ian, guardano da sopra la sua spalla. “Ma penso che farà in tempo a tagliargli la gola – a Dhia -è stato un brutto colpo e avevo paura di – ma che diav – voglio dire, com’è che sei qui?” Arretrò un poco, gli occhi che correvano su di lei, l’angolo della sua bocca che si girava verso l’alto quando notò le sue braghe e le scarpe di pelle da camminata, che scomparve mentre tornava con gli occhi sul suo viso, ora preoccupato. “Il tuo uomo è con te? E I bambini?”
“Si, ci sono,” lo rassicurò. “Roger sta martellando e Jem lo sta aiutando e Mandy si sta mettendo in mezzo. Riguardo a cosa ci facciamo qui…” la giornata e la gioia della riunione le avevano permesso di ignorare il passato recente, ma l’ultimo bisogno di spiegazioni riportò l’enormità di tutto che improvvisamente crollò su di lei.
“Non preoccuparti, cugina,” disse Ian rapidamente, guardando la sua faccia. Può aspettare. Pensi di ricordarti come sparare a un tacchino? C’è n’è un branco che si aggira qui e li come gente che balla Strip the Willow a un ceilidh, a non più di un quarto di miglio da qui.
“Oh, potrei.” Aveva appoggiato il fucile da caccia contro la parete rocciosa mentre beveva; la caduta del cervo lo aveva rovesciato e lei lo prese, controllandolo; la caduta aveva sostato la pietra focaia e lei la rimise a posto. Il rumore di sotto si era fermato, e lei poteva sentire la voce di suo padre, a tratti al di sopra del vento, che recitava la preghiera del gralloch.
“Non faremo meglio ad aiutare Pa’ con il cervo, comunque?”
“Ach, non è più che un giovane cervo, avrà fatto prima che tu possa sbattere gli occhi.” Ian si sporse dalla sporgenza, chiamando di sotto “Porto Bree a sparare ai tacchini, a mathair-braither!”
Silenzio assoluto dal basso, e poi un sacco di fruscii e la testa arruffata di Jamie si innalzò improvvisamente al di sopra dei rovi. I suoi capelli erano sciolti e aggrovigliati, il suo viso era molto arrossato e sanguinante in diversi punti, come le sue mani e le sue braccia, e sembrava contrariato.
“Ian,” disse, in un tono misurato, ma con voce abbastanza alta da essere facilmente sentita al di sopra dei rumori della foresta. “Mac Ian…mac Ian…!"
“Torneremo per aiutarti a portare la carne!” rispose Ian. Salutò allegramente, e afferrato il fucile da caccia, colse lo sguardo di Bree e sollevò il mento verso l’alto. Lei guardò in basso, ma suo padre era scomparso, lasciando i cespugli che ondeggiavano per l’agitazione.
Trovò che aveva perso molto della sua abitudine alla natura selvaggia; la scarpata sembrava impossibile per lei, ma Ian si arrampicò facilmente come un babbuino, e dopo un attimo di esitazione, lei lo seguì, molto più lentamente, scivolando di tanto in tanto in una piccola pioggia di terriccio mentre cercava le prese che aveva usato suo cugino.
“Ian mac Ian mac Ian?” chiese, raggiungendo la cima e fermandosi per togliersi la terra dalle scarpe. Il suo cuore batteva spiacevolmente forte. “È come quando io chiamo Jem Jeremih (quali sono i suoi nomi di mezzo?) MacKenzie quando sono arrabiata con lui?”
“Qualcosa del genere,” disse Ian, alzando le spalle. “Ian, figlio di Ian, figlio di Ian…l’idea è puntualizzare che sei una disgrazia per i tuoi antenati, aye? Indossava una camicia di cotone stracciata e sudicia, ma le maniche erano state strappate e lei vide una grande cicatrice bianca con la forma di una stella a quattro punte sulla curva della sua spalla scura nuda.
“Che cos’era quella?” disse, facendo un cenno della testa verso di quella. Lui la guardò, e fece un gesto sprezzante, girandosi per condurla attraverso il piccolo promontorio.
“Ach, niente,” disse. “Un bastardo Abenaki mi ha colpito con una freccia, a Monmouth. Denny me l’ha estratta qualche giorno dopo – è Denzel Hunter,” aggiunse, guardando il suo sguardo perso. “Il fratello di Rachel. È un dottore, come tua madre.”
“Rachel!” esclamò. “Pa’ ha detto che ti sei sposato…Rachel è tua moglie?”
Un enorme sorriso si allargò sulla sua faccia.
“Sì,” disse semplicemente. “Taing do Dhia..” Poi la quardò velocemente per vedere se aveva capito.
“Mi ricordo ‘Grazie a Dio,’” lo rassicurò. “E molto altro. Roger ha passato la maggior parte del viaggio dalla Scozia a rinfrescare il nostro Gaidhlig. Pa’ mi ha detto anche che Rachel è una quacchera?” Chiese allungandosi per attraversare le pietre di un piccolo ruscello.
“Aye, lo è.” Gli occhi di Ian erano fissi sulle pietre, ma lei pensò che parlasse con meno gioia e orgoglio di quanto ne avesse avuto un momento prima. Ma lasciò perdere, comunque; se c’era un conflitto – e lei non riusciva a vedere come non poteva esserci, dato quello che sapeva di suo cugino e quello che pensava di sapere sui quaccheri – questo non era il momento per fare domande.
Non che tali considerazioni avessero fermato Ian.
“Dalla Scozia?” disse, girando la testa indietro a guardarla da sopra la sua spalla. “Quando?” Poi la sua faccia cambiò all’improvviso, quando realizzò l’ambiguità di “quando” e fece un gesto di scuse, ignorando la domanda.
“Abbiamo lasciato Edimburgo a giugno,” disse dando la risposta più semplice per adesso. “Ti dirò il resto più tardi.”
Lui annuì, e per un po’ camminarono, qualche volta insieme, qualche volta con Ian che stava avanti, cercando tracce di cervi o tagliando verso l’alto per aggirare una fitta macchia di cespugli. Lei era contenta di seguirlo, così poteva guardarlo senza imbarazzarlo con il suo esame.
Era cambiato – nessuna grande meraviglia qui – ancora alto e molto magro, ma indurito, un uomo completamente cresciuto in sé stesso, i muscoli lunghi delle braccia ben definiti sotto la pelle. I suoi capelli marroni erano più scuri, intrecciati e legati con un laccio di cuoio e ornati con quella che sembravano delle penne di tacchino molto fresche legate nella treccia. Per buona fortuna? Si chiese. Aveva ripreso l’arco e la faretra che aveva lasciato in cima alla scarpata, e la faretra ora oscillava delicatamente contro la sua schiena.
Ma l’espressione da uomo ben fatto appare non solo sul suo viso, pensò. È nelle sue membra e nelle articolazioni delle sue anche e dei suoi polsi. È nella sua camminata, nella postura del suo collo, nella flessibilità della sua vita e delle sue ginocchia, nel vestito che non lo nasconde. La poesia aveva sempre evocato Roger per lei, ma ora abbracciava anche Ian e suo pare, diversi come lo erano i tre.
Appena arrivarono più in alto e il legname si aprì, la brezza crebbe e si rinfrescò, e Ian si fermò e la chiamò con un piccolo movimento delle dita.
“Li hai sentiti?” mormorò nel suo orecchio.
Li sentiva, e i peli si incresparono piacevolmente lungo la sua schiena. Piccoli, aspri strilli, quasi come un cane che abbaiava. E più lontano, una specie di ronzio intermittente, qualcosa tra un grande gatto e un piccolo motore.
“Meglio se ti togli le calze e ti strofini le gambe con la terra,” sussurrò Ian, indicando le sue calze di lana. “Anche le mani e la faccia.”
Lei annuì, mise il fucile contro un albero, e strappò foglie secche dal suolo, abbastanza umide da strofinarsele sulla pelle. Ian, la sua pelle era già del colore della sua pelle di daino, non aveva bisogno di questo camuffamento. Si muoveva silenziosamente mentre lei si ungeva le mani e la faccia, e quando alzò lo sguardo per un attimo non riuscì a vederlo.
Poi ci fu una serie di suoni come il cardine arrugginito di una porta che oscillava avanti e indietro, e improvvisamente lo vide, in piedi dietro un albero una quindicina di metri avanti.
La foresta sembrò fermarsi per un istante, i delicati fruscii e il mormorio delle foglie che cessavano. Poi ci fu un gorgoglio arrabbiato e lei girò la testa più lentamente che poté, per vedere un tacchino maschio tirare la testa dall’erba e guardare scaltro da un lato all’altro, i bargigli rosso brillante e ondeggianti, in cerca di sfidanti.
Fissò gli occhi su Ian, le mani di lui a coppa sulla bocca, ma non si muoveva e non emetteva un suono. Lei trattenne il fiato e guardò indietro verso il tacchino, che emise un altro gorgoglio a voce alta – a questo fece eco un altro maschio a distanza. Il tacchino che lei stava osservando guardò indietro in direzione di quel suono, alzando la testa e strillando, ascoltando per un attimo e poi abbassò di nuovo la testa nell’erba. Lei guardò Ian; lui colse il suo movimento e scosse la testa, lievemente.
Aspettarono per lo spazio di sedici lenti respiri – lei li contò – e poi Ian guaì di nuovo. Il maschio spuntò fuori dall’erba e attraversò a grandi passi un tratto di terreno aperto, e pieno di foglie, con il sangue negli occhi, le piume sul petto gonfiate e la coda allargata alla perfezione a ventaglio. Si fermò per un attimo per permettere alla foresta di ammirare la sua magnificenza, poi cominciò ad avanzare lentamente avanti e indietro, emettendo grida aspre e aggressive.
Muovendo solo gli occhi, lei guardava avanti e indietro tra il maschio che avanzava e Ian, che regolava i suoi movimenti a quelli del tacchino che incedeva, facendo scivolare l’arco dalla sua spalla, immobilizzandosi, prendo una freccia in mano, immobilizzandosi, e infine incoccando la freccia mentre l’uccello faceva il suo ultimo giro.
O quello che doveva essere il suo ultimo giro. Ian tese l’arco e con lo stesso movimento rilasciò la sua freccia ed emise un urlò spaventato, del tutto umano mentre un oggetto grande e scuro precipitava dall’albero sopra di lui. Fece un salto all’indietro e il tacchino per poco mancò di atterrare sulla sua testa. Lei poteva vederlo ora, una femmina, le piume rese più gonfie dallo spavento, che correva con il collo teso attraverso il terreno aperto verso il maschio ugualmente sorpreso, che si era sgonfiato per lo shock.
Per riflesso, afferrò il fucile, fece pressione e sparò. Li mancò, ed entrambi i tacchini sparirono in una macchia di felci, facendo un rumore che suonò come un piccolo martello che colpiva un pezzo di legno.
Si echi si spensero e le foglie degli alberi ripresero il loro mormorio. Lei guardò suo cugino, che guardava il suo arco, poi attraversava il terreno aperto verso il punto in cui sua freccia sporgeva assurdamente tra due rocce. Lui la guardò, ed entrambi scoppiarono a ridere.
“Aye, bene.” disse filosoficamente. “Questo è quello che otteniamo per aver lasciato Zio Jamie a raccogliere le rose da solo.”
domenica 26 novembre 2017
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