sabato 8 agosto 2015

Estratto dal 9° libro: Carpe Diem

Manoke era l’amico di suo padre; Lord John non l’aveva mai chiamato in nessun altro modo. L’indiano andava e veniva come voleva, di solito senza preavviso, anche se stava a Mount Josiah più spesso che no. Non era un servitore o un impiegato, ma quando era lì faceva da mangiare e puliva, si occupava delle galline – sì, c’erano ancora galline, William poteva sentirle chiocciare e frusciare mentre si sistemavano negli alberi vicino alla casa – e aiutava quando c’era della selvaggina da pulire e macellare.
“Il tuo maiale?” chiese William a Cinnamon con un breve scatto della testa verso la buca del fuoco ormai smorzato. Avevano scelto di cenare nel portico pericolante, godendosi l’aria della sera e tenendo d’occhio la carne messa ad essiccare, in caso arrivasse qualche procione pronto al saccheggio.
“Oui. Lassù,” disse Cinnamon ondeggiando una grossa mano verso il nord. “A due ore di cammino. Un po’ di maiali nel bosco là, non molti.”
William annuì. “Hai un cavallo?” chiese. Era oggettivamente un piccolo maiale, forse sessanta libbre, ma pesante da trasportare per due ore, in particolare visto che presumibilmente Cinnamon non sapeva quanto lontano doveva andare. Aveva già detto a William che non era mai stato a Mount Josiah prima.
Cinnamon annuì, la bocca piena, e girò di scatto il suo mento nella direzione del traballante capanno del tabacco. William si chiese da quanto tempo Manoke era lì; il posto sembrava come se fosse deserto da anni, eppure c’erano galline…
Il fruscio e i brevi strilli dei volatili che si sistemavano, gli ricordarono improvvisamente e bruscamente Rachel Hunter, e nel successivo respiro, ritrovò l’odore di pioggia, galline bagnate, e ragazza bagnata.


“… quella che mio fratello chiama la Grande Prostituta di Babilonia. Nessuna gallina possiede qualcosa di simile all’intelligenza, ma questa qui è perversa oltre ogni modo.”
“Perversa?” Evidentemente lei percepì che lui stava considerando le possibilità inerenti a questa descrizione, trovandole interessanti, poiché sbuffò dal naso e si piegò per aprire il baule della biancheria.
“La creatura sta seduta a venti piedi d’altezza su di un pino, nel mezzo di una tempesta. Perversa.” Tirò fuori un asciugamano e cominciò ad asciugarsi i capelli.
Il suono della pioggia cambiò all’improvviso, la grandine picchiava come ghiaia lanciata contro le imposte.
“Hmph,” disse Rachel, con uno sguardo cupo alla finestra. “Mi aspetto che venga buttata giù priva di sensi dalla grandine e divorata dalla prima volpe che passa, ed è quello che si merita”. Scosse l’asciugamano aperto e ricominciò ad asciugarsi i capelli. “Non un gran problema. Sarò felice di non rivedere più nessuna di quelle galline.”
L’odore dei capelli bagnati di Rachel era forte nella sua memoria, e li rivedeva, scuri e sparsi in ciocche giù per la sua schiena, il bagnato che rendeva la sua sottoveste trasparente qua e là, facendo scorgere la sua morbida pelle pallida al di sotto.


“Cosa? Voglio dire, domando scusa?” Manoke gli aveva detto qualcosa e l’odore della pioggia era sparito, rimpiazzato dal fumo di noce americano, farina di mais fritta e pesce.
Manoke lo guardò divertito, ma cortesemente ripeté ciò che aveva detto.
“Ho detto, sei venuto per restare? Perché se è così, forse vuoi riparare il camino.”
William guardò sopra la propria spalla; le macerie ricoperte di rampicanti erano appena visibili, oltre la fine del portico.
“Non lo so,” disse alzando le spalle. Manoke annuì e tornò alla sua conversazione con Cinnamon; i due stavano parlando in francese. William non riusciva a sforzarsi di sentire, improvvisamente sopraffatto da una stanchezza che gli arrivava fino al midollo delle ossa.
Voleva restare? Non sapeva cosa avesse voluto fare venendo lì; era solo l’unico posto che gli era venuto in mente dove non avrebbe dovuto dare spiegazioni.
Aveva la vaga consapevolezza di dover pensare. Dare un senso alle cose, decidere cosa fare. Rialzarsi e mettersi in azione poi, per fare le cose giuste.
“Giuste,” disse sottovoce. “Inferno e morte.” Niente potrebbe essere fatto giusto. Una lisca di pesce gli si incastrò nella gola e si strozzò, tossì, si strozzò di nuovo.
Manoke lo guardò brevemente, ma William sventolò una mano e l’indiano tornò alla sua intensa conversazione con John Cinnamon. William si alzò e andò, tossendo, al pozzo, dietro l’angolo della casa.
L’acqua era dolce e fredda, e con un piccolo sforzo, rimosse la lisca e bevve, poi si rovesciò dell’acqua in testa.
 Mentre si toglieva lo sporco dal viso, sentì un graduale senso di calma calare su di lui. Non pace, nemmeno rassegnazione, ma una presa di coscienza che se ogni cosa si fosse potuta sistemare in quel momento... forse non ce n'era bisogno. Non avrebbe avuto ventun anni fino a gennaio. La tenuta veniva ancora amministrata da fattori e avvocati; tutte quelle vigne e aziende agricole erano ancora una responsabilità di qualcun altro. 

Voleva restare, pensò, asciugandosi con una mano il viso bagnato. Non pensare. Non lottare. Basta resistere ancora per un po'. 
Era profondamente buio ora; uno dei suoi momenti preferiti della giornata. La foresta aveva accolto il morire della luce, ma l'aria aumentò, allontanando il calore del giorno, diventando fredda come uno spirito attraverso il leggero movimento delle foglie, toccandogli la pelle calda con la sua pace.

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