Jamie sospirò, infilò la lettera in tasca e incapace di rimanere seduto con i suoi pensieri, andò verso la collina al giardino di Claire, non con l’intenzione di raccontarle della lettera e dei suoi pensieri – desiderando solo il conforto momentaneo della sua presenza.
Non era lì, e lui esitò all’interno del cancello, ma poi lo chiuse dietro di sé e camminò lentamente verso la fila di alveari. Aveva costruito un lungo bancone per lei e ora c’erano nove arnie su di esso, che ronzavano pacificamente nel sole autunnale. Alcuni di loro erano alveari di vimini intrecciati, ma Brianna aveva costruito anche tre cassette, con all'interno telai di legno e una sorta di tubo di scarico per facilitare la raccolta del miele.
C’era qualcosa in fondo alla sua mente una poesia che Claire gli aveva detto una volta, a proposito di nove e di api. Gli era rimasto solo un pezzo: Nove filari a fave, avrò laggiù, un’arnia per le api e solo vivrò nella radura in mezzo al ronzio delle api*. Il numero nove lo rendeva sempre diffidente, a causa di uno strano incontro con una vecchia chiromante parigina.
“Morirai nove volte prima di finire nella tomba,” gli aveva detto. Claire aveva provato, di tanto in tanto, a contare le volte che sarebbe dovuto morire, ma non c’era riuscita. Lui non lo aveva mai fatto, avendo un timore superstizioso di attrare la sfortuna soffermandosi su questo.
Le api erano impegnate nelle loro faccende. L’aria ne era piena, con l’ultimo sole che catturava le loro ali facendole scintillare tra il verde del giardino. C’erano alcuni girasoli a brandelli lungo un muro, i loro semi simili a ciottoli grigi, sedum e cosmos rosa. Genziane viola - le riconosceva, perché Claire ne aveva ricavato un unguento che aveva usato su di lui più di una volta - e ne aveva portate alcune da Wilmington e le aveva protette lì in un punto sabbioso che lei aveva preparato. Lui aveva scavato e trasportato la sabia per lei, e sorrise alla pallida chiazza tra il terriccio più scuro. Le api sembravano apprezzare la verga d'oro, ma Claire diceva che ora cacciavano principalmente nei boschi e nei prati.
Arrivò al bancone e allungò una mano verso gli alveari, ma non ne toccò nessuno fino a che due o tre api non si posarono agilmente sulla sua mano. “Così non penseranno che sei un orso,” aveva detto Claire, ridendo. Sorrise al ricordo e mise la mano sulla paglia riscaldata dal sole e rimase lì per un po’, lasciando andare i suoi pensieri molesti, a poco a poco
“Vi prenderete cura di lei, aye?” disse alla fine, parlando dolcemente alle api. “Se viene da voi e dice che me ne sono andato, la nutrirete e le presterete attenzione?” Rimase ancora un momento ascoltando il ronzio incessante.
“Ve la affido,” disse alla fine, e si girò per andarsene, il suo cuore più leggero nel petto. Fu solo quando si chiuse il cancello alle spalle e si avviò verso la casa che gli venne in mente un'altra parte della poesia. “E godrò un po’ di pace laggiù, ché goccia a goccia scende la pace…”
Non era lì, e lui esitò all’interno del cancello, ma poi lo chiuse dietro di sé e camminò lentamente verso la fila di alveari. Aveva costruito un lungo bancone per lei e ora c’erano nove arnie su di esso, che ronzavano pacificamente nel sole autunnale. Alcuni di loro erano alveari di vimini intrecciati, ma Brianna aveva costruito anche tre cassette, con all'interno telai di legno e una sorta di tubo di scarico per facilitare la raccolta del miele.
C’era qualcosa in fondo alla sua mente una poesia che Claire gli aveva detto una volta, a proposito di nove e di api. Gli era rimasto solo un pezzo: Nove filari a fave, avrò laggiù, un’arnia per le api e solo vivrò nella radura in mezzo al ronzio delle api*. Il numero nove lo rendeva sempre diffidente, a causa di uno strano incontro con una vecchia chiromante parigina.
“Morirai nove volte prima di finire nella tomba,” gli aveva detto. Claire aveva provato, di tanto in tanto, a contare le volte che sarebbe dovuto morire, ma non c’era riuscita. Lui non lo aveva mai fatto, avendo un timore superstizioso di attrare la sfortuna soffermandosi su questo.
Le api erano impegnate nelle loro faccende. L’aria ne era piena, con l’ultimo sole che catturava le loro ali facendole scintillare tra il verde del giardino. C’erano alcuni girasoli a brandelli lungo un muro, i loro semi simili a ciottoli grigi, sedum e cosmos rosa. Genziane viola - le riconosceva, perché Claire ne aveva ricavato un unguento che aveva usato su di lui più di una volta - e ne aveva portate alcune da Wilmington e le aveva protette lì in un punto sabbioso che lei aveva preparato. Lui aveva scavato e trasportato la sabia per lei, e sorrise alla pallida chiazza tra il terriccio più scuro. Le api sembravano apprezzare la verga d'oro, ma Claire diceva che ora cacciavano principalmente nei boschi e nei prati.
Arrivò al bancone e allungò una mano verso gli alveari, ma non ne toccò nessuno fino a che due o tre api non si posarono agilmente sulla sua mano. “Così non penseranno che sei un orso,” aveva detto Claire, ridendo. Sorrise al ricordo e mise la mano sulla paglia riscaldata dal sole e rimase lì per un po’, lasciando andare i suoi pensieri molesti, a poco a poco
“Vi prenderete cura di lei, aye?” disse alla fine, parlando dolcemente alle api. “Se viene da voi e dice che me ne sono andato, la nutrirete e le presterete attenzione?” Rimase ancora un momento ascoltando il ronzio incessante.
“Ve la affido,” disse alla fine, e si girò per andarsene, il suo cuore più leggero nel petto. Fu solo quando si chiuse il cancello alle spalle e si avviò verso la casa che gli venne in mente un'altra parte della poesia. “E godrò un po’ di pace laggiù, ché goccia a goccia scende la pace…”
*The Lake Isle of Innisfree di William Butler Yeats traduzione di Gabriele Baldini, 2012
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