lunedì 8 giugno 2020

Bees: Per il Memorial Day

Non fu Dio che trovò con lui, ma la miglior cosa più vicina. Il ricordo del Maggiore Gareth Everett, uno degli amici di suo padre, un ex cappellano militare. Everett era un uomo alto, dalla faccia lunga che portava i capelli che si ingrigivano divisi nel mezzo in un modo che lo facevano sembrare un vecchio segugio, ma aveva avuto un senso dell’umorismo nero e aveva trattato Roger, tredicenne, come un uomo.
“Hai mai ucciso qualcuno? chiese al Maggiore mentre erano seduti a tavola dopo cena una sera, mentre l’uomo anziano raccontava storie della Guerra.
“Sì,” rispose il Maggiore senza esitazione. “Non sarei di nessuna utilità ai miei uomini, morto.”
“Cosa fai per loro?” Roger aveva chiesto, curioso. “Voglio dire – cosa fa un cappellano militare, in una battaglia?”
Il Maggiore Everett e il Reverendo si erano scambiati un breve sguardo, ma il Reverendo annuì ed Everett si piegò in avanti, le braccia piegate sul tavolo di fronte a lui. Roger vide il tatuaggio sul suo polso, un qualche tipo di uccello, con le ali spiegate su una pergamena con qualcosa scritto in latino.
“Essere con loro,” disse il Maggiore con calma, ma i suoi occhi sostennero quelli di Roger, profondamente seri. “Rassicurarli. Dirgli che Dio è con loro. Che io sono con loro. Che non sono soli.”
“Aiutarli quando puoi,” aveva detto suo padre, piano, con gli occhi sulla logora tela cerata grigia che copriva il tavolo. “Tenere le loro mani e pregare, quando non puoi.”
Vide – vide davvero – lo scoppio di un cannone. Una brillante scintilla rossa fiorita delle dimensioni della sua testa che lampeggiò nella nebbia con il BOOM! di un fuoco d’artificio e poi sparì. La nebbia si sollevò scura dallo scoppio e lui vide tutto chiaramente per un secondo, non di più – la massa scura del cannone, la bocca rotonda spalancata, il fumo denso che passava sopra la nebbia, che cadeva al suolo come acqua, il vapore che saliva dal metallo caldo per aggiungersi alla nebbia torbida, gli artiglieri che sciamavano intorno al cannone, frenetiche formiche blu, inghiottivano l’istante successivo in un bianco vorticoso.
E poi il mondo intorno a lui impazzì. Le urla degli ufficiali erano arrivate con il colpo di cannone; lo sapeva solo perché era stato in piedi vicino al Generale e aveva visto la sua bocca aperta. Ma ora un ruggito diffuso salì dagli uomini che caricavano nella sua colonna, correndo determinati verso la fioca sagoma della ridotta davanti a lui.
Aveva la spada in mano e stava correndo, urlando, cose senza parole.
Delle torce brillavano debolmente nella nebbia – soldati che tentavano di riaccendere l’abatis, pensò vagamente. C’era un suono acuto di qualche tipo che poteva essere il generale, ma poteva non essere.
Il cannone – quanti? Non poteva dirlo, ma più di due; il fuoco continuava a un ritmo tremendo, il suo schianto gli scuoteva le ossa ogni mezzo minuto circa.
Si fermò, piegato, le mani sulle ginocchia, ansimando. Pensò di aver sentito il fuoco di un moschetto, attutito, colpi ritmici tra i colpi di cannone. Le raffiche disciplinate dell’esercito britannico.
“Caricate!”
“Fuoco!”
“Arretrate!” Le urla di un ufficiale risuonarono all’improvviso nell’attimo di silenzio tra un colpo e il successivo.
_Tu non sei un soldato. Se finisci ucciso… nessuno sarà qui per aiutarli. Resta indietro, idiota_
Era stato in fondo alla fila. Ma ora era circondato da uomini, che avanzavano insieme, spingendo, correndo in tutte le direzioni. Gli ordini venivano abbaiati e pensava che alcuni degli uomini si stessero sforzando di obbedire; sentiva urla occasionali, vide un ragazzo nero che non poteva avere più di vent’anni che lottava tristemente per caricare un moschetto più alto di lui. Indossava un’uniforme blu scuro e un fazzoletto da collo di un giallo brillante apparve quando la nebbia si separò per un istante.
Inciampò su qualcuno che giaceva al suolo e atterrò sulle ginocchia, l’acqua salmastra che filtrava attraverso i suoi calzoni. Era atterrato con le mani sull’uomo caduto, e l’improvviso calore sulle sue dita fredde fu uno shock per lo riportò in sé stesso.
L’uomo emise un gemito e Roger tolse di scatto le mani, poi si riprese e cercò a tentoni le mani dell’uomo. Era morto e la sua stessa mano era piena di un getto di sangue caldo che puzzava come un macello.
“Gesù,” disse, e strofinandosi la mano sui calzoni, pescò con l’altra nella sua borsa, aveva degli stracci… tirò fuori qualcosa di bianco e cercò di legarlo… cercò a tentoni, freneticamente, un polso, ma anche quello era sparito. Prese un frammento di manica e la risalì salì più in fretta che poté, ma raggiunse la parte superiore del braccio ancora solida un momento dopo la morte dell'uomo: poté sentire l'improvvisa mollezza del corpo sotto la sua mano.
Stava ancora lì in ginocchio con lo straccio inutilizzato in mano quando qualcuno inciampò su di lui e cadde a capofitto con uno schianto tremendo. Roger si alzò in piedi e si diresse accovacciato verso l'uomo caduto.
“Stai bene?” urlò, piegandosi in avanti. Qualcosa fischiò sopra la sua testa e lui si appiattì sull’uomo.
“Gesù Cristo!” esclamò l’uomo, prendendo a pugni ferocemente Roger. “Tieni il diavolo lontano da me, bastardo!”
Lottarono nel fango e acqua per un attimo, ognuno provando a usare l’altro come leva per alzarsi in piedi, e il cannone continuava a fare fuoco. Roger spinse via l’uomo e riuscì a mettersi sulle ginocchia nel fango. Urla d’aiuto stavano venendo dalle sue spalle, e si girò in quella direzione.
La nebbia se n’era quasi andata, portata via dalle esplosioni, ma il fumo del cannone si spandeva bianco e basso attraverso il terreno irregolare, mostrandogli brevi lampi di colore e movimento mentre si frantumava.
“Aiuto, aiutatemi!”
Vide l’uomo allora, sulle mani e sulle ginocchia, che trascinava una gamba, e schizzò attraverso le pozzanghere per raggiungerlo. Non c’era tanto sangue, ma la gamba era chiaramente ferita; mise una spalla sotto il braccio dell’uomo e lo mise in piedi, spingendolo più velocemente possibile lontano dalla ridotta, fuori tiro…
L’aria si frantumò ancora e la terra sembrò oscillare sotto di lui, era disteso al suolo con l’uomo che stava aiutando su di sé, la mascella dell’uomo sbatté velocemente e sangue caldo e pezzi di denti inzupparono il suo petto. In preda al panico, lottò per uscire da sotto al corpo che si contraeva - Oh, Dio, oh, Dio, era ancora vivo - e poi si inginocchiò vicino all'uomo, scivolando nel fango, afferrandosi con una mano sul petto dove poteva sentire il cuore che batteva a tempo con il sangue che sgorgava.
Cercò le parole, frenetico. Era tutto andato. Tutte le parole di conforto che aveva racimolato, tutte le sue scorte…
“Non sei solo,” ansimò premendo forte il petto che si sollevava, come se potesse ancorare l’uomo alla terra nella quale si stava dissolvendo. “Sono qui. Non ti lascerò. Andrà tutto bene. Tu starai bene.”

0 comments: