Oggi è la Quarta (e ultima) Domenica di Avvento. L’attesa è quasi finita, ma l’aspettativa è ancora da gustare. L’ultima candela (visto che abbiamo utilizzato le altre definizioni) è Pace.
Pace è una di quelle cose che non si possono realmente definire (non che le persone non possano, ma - come l’amore -ha un significato profondo e con brillanti sfaccettature), ma uno capisce quando la incontra. Da qui la citazione biblica “La pace che supera ogni comprensione.”
La Pace spesso viene a trovarci nel mezzo delle Cose (come quando ti rendi conto che tra due ore parti per un viaggio in un'altra città per Natale e non hai ancora impacchettato i regali che devi lasciare alla FedEx lungo la strada…), e spesso non ci rendiamo conto che questo accade perché portiamo la pace con noi, sempre.
La Pace è parte della nostra natura, proprio come noi siamo parte della natura.
Ora, sono una biologa per formazione, e sono anche una persona che (come diceva mio padre con disapprovazione) “ha la testa tra le nuvole!” (come se questo fosse una brutta cosa…). Sì. Anche per terra.
Le pietre vengono a cercarmi, ed è raro per me tornare a casa da una passeggiata, senza una pietra in tasca. Così, alcuni giorni fa, stavo passeggiando con Lucy, la bassotta, per la quale “passeggiare” significa “annusare tutto quello che vede, fermandosi di tanto in tanto a fare pipì sopra” e come al solito, ho dato una rapida occhiata al terreno su cui stavamo camminando, che -essendo un giardino desertico a Scottsdale , era per lo più granito frantumato. Ma in mezzo a questo strato di pietre rosate c’era questo piccolo visitatore grigio che vedete nella foto sopra.
Questo è un minuscolo sopravvissuto a un'esplosione vulcanica avvenuta a molte miglia di distanza. Chiaramente, è una roccia, ma una che ha attraversato Cose. È stata sciolta dal calore del nucleo terrestre, e spinta lontano, con quei piccoli buchi che sono le cicatrici lasciate dai gas violenti che l'hanno spinta.
Cosa può essere meno pacifico?
E tuttavia, eccolo lì. A crogiolarsi al sole, a riposare tra estranei.
Non importa cosa gli sia successo, rimane ciò che è. Porta con sé la pace, perché la pace è la sua natura, come lo è la nostra. Aspetta e ascolta la pace che vive dentro di te sussurrare il tuo nome.
Buon Natale!
Pace è una di quelle cose che non si possono realmente definire (non che le persone non possano, ma - come l’amore -ha un significato profondo e con brillanti sfaccettature), ma uno capisce quando la incontra. Da qui la citazione biblica “La pace che supera ogni comprensione.”
La Pace spesso viene a trovarci nel mezzo delle Cose (come quando ti rendi conto che tra due ore parti per un viaggio in un'altra città per Natale e non hai ancora impacchettato i regali che devi lasciare alla FedEx lungo la strada…), e spesso non ci rendiamo conto che questo accade perché portiamo la pace con noi, sempre.
La Pace è parte della nostra natura, proprio come noi siamo parte della natura.
Ora, sono una biologa per formazione, e sono anche una persona che (come diceva mio padre con disapprovazione) “ha la testa tra le nuvole!” (come se questo fosse una brutta cosa…). Sì. Anche per terra.
Le pietre vengono a cercarmi, ed è raro per me tornare a casa da una passeggiata, senza una pietra in tasca. Così, alcuni giorni fa, stavo passeggiando con Lucy, la bassotta, per la quale “passeggiare” significa “annusare tutto quello che vede, fermandosi di tanto in tanto a fare pipì sopra” e come al solito, ho dato una rapida occhiata al terreno su cui stavamo camminando, che -essendo un giardino desertico a Scottsdale , era per lo più granito frantumato. Ma in mezzo a questo strato di pietre rosate c’era questo piccolo visitatore grigio che vedete nella foto sopra.
Questo è un minuscolo sopravvissuto a un'esplosione vulcanica avvenuta a molte miglia di distanza. Chiaramente, è una roccia, ma una che ha attraversato Cose. È stata sciolta dal calore del nucleo terrestre, e spinta lontano, con quei piccoli buchi che sono le cicatrici lasciate dai gas violenti che l'hanno spinta.
Cosa può essere meno pacifico?
E tuttavia, eccolo lì. A crogiolarsi al sole, a riposare tra estranei.
Non importa cosa gli sia successo, rimane ciò che è. Porta con sé la pace, perché la pace è la sua natura, come lo è la nostra. Aspetta e ascolta la pace che vive dentro di te sussurrare il tuo nome.
Buon Natale!
Estratto dal Libro 10 (senza titolo), Copyright 2024 Diana Gabaldon
William si lavò la faccia – era spessa a causa della barba corta, ma non aveva senso provare a radersi senza specchio o sapone – e scese al piano di sotto.
Il profumo del cibo lo raggiunse in cima alle scale e lo attirò giù come una mosca che fiuta il sangue, determinato nella sua voracità. E pure qualcosa di buono, si rese conto mentre entrava in cucina. Era così affamato che non ebbe nessuna remora riguardo alla sua accoglienza.
In effetti, mentre tutti a tavola si girarono a guardarlo, tutti i volti avevano un sorriso, timidi o ampi, e lui si inchinò a loro, ricambiando il sorriso.
«Buongiorno,» disse, e la bambina più piccola – Amanda, questo era il suo nome – ridacchiò e puntò il suo cucchiaio verso di lui.
«La tua barba è come quella del nonno!»
Un'ondata di divertimento soffocato percorse il tavolo, ma prima che potesse pensare a qualcosa da dire, Madre Claire si alzò e lo prese per la manica, mostrandogli un posto sulla panca accanto a Frances, che lo guardò pudicamente.
«Spero che tu abbia dormito bene» disse. Le sue guance erano rosa, ma incontrò i suoi occhi in modo diretto, e lui provò un leggero shock; i suoi occhi somigliavano molto a quelli di Jane.
«Benissimo, ti ringrazio,» la rassicurò. Gli apparve davanti un tagliere, con un mucchio di toast e pancetta, e il fratello di Amanda – James? No, Jeremiah, Jem, era questo, un ragazzo alto con i capelli rossi, smilzo come un alberello di quercia – spinse un vasetto di marmellata di fragole attraverso la tavola.
«Come dobbiamo chiamarlo?» chiese il ragazzo, girandosi verso suo nonno. «Zio Billy?»
William si strozzò quasi con il sorso di birra che aveva appena bevuto. Frances, Claire e le tre ragazze ridacchiavano, e lui pensò che Fraser avrebbe fatto lo stesso se fosse stato capace di produrre un suono simile. Com’era, Fraser mantenne un’espressione relativamente seria, e rispose, «No a meno che lui non te lo chieda. Fino ad allora, puoi chiamarlo Mr. Ransom, aye?»
William si schiarì la gola.
«Per il momento puoi chiamarmi William, se ti fa piacere,» disse a Jem. «Non ho molta pratica come zio, finora.»
«Non infastidite vostro zio,» disse Madre Claire, posando un piatto di succulente, luccicanti salsicce, che profumavano di salvia e cipolle, di fronte a William. «Lasciatelo mangiare.»
Mangiò come un lupo famelico, ascoltando le conversazioni con un solo orecchio, ma senza sforzarsi di partecipare. Il suo bicchiere venne riempito – e riempito di nuovo – con dell’ottima birra, e finì il pasto sazio – be’ ripieno come un’oca – e chiedendosi se poteva andare a cercare un albero sotto cui dormire per un po’.
«Andrò in giro per il Ridge oggi, a mettere a posto le cose con i miei fittavoli,» gli disse Fraser, spazzolandosi briciole dal grembo. Diede un pezzo di toast al grande segugio che aveva aspettato pazientemente ai suoi piedi, e si alzò. «Vuoi venire con me?»
«Io – sì. Penso di sì,» rispose William, colto di sorpresa dall’invito. Si ricordò di Mac lo staffiere che diceva “mettere a posto” riferendosi alla strigliatura e al nutrimento dei cavalli, ma immaginò che Fraser semplicemente volesse dire che si proponeva di dire ai suoi fittavoli che sarebbe stato via per un po’ di tempo, e di organizzare il pagamento degli affitti con un fattore.
Fraser annuì.
«Aye, bene. Dirò che sei mio figlio, anche se la maggior parte di loro lo saprà già, dopo ieri.» Inarcò un sopracciglio interrogativo. A William andava bene?
Questo fece scendere il suo stomaco pieno di un altro centimetro o due, ma annuì in risposta.
«Certamente. Posso avere il tempo di farmi la barba?»
«Aye, usa il sapone e il catino in camera mia. È quella davanti, sulla sinistra salendo»
La stanza era ampia e gradevole, la finestra aperta per far entrare l’aria, ma coperta con della mussolina per tenere fuori gli insetti, e la luce diffusa dava alla stanza una piacevole sensazione di quiete, come essere in una nuvola, nonostante il baccano attutito della cucina di sotto. William si ritrovò a respirare superficialmente, consapevole dell’aroma sconosciuto e intimo della stanza. Il letto non era stato ancora fatto, e mentre le lenzuola rivoltare erano pulite, mantenevano il leggero, sconcertante odore muschiato di corpi recenti.
Se l’intimità della camera da letto dei Fraser era sconcertante, lo era di più l’intimità di usare il sapone da barba di Fraser. Era morbido sapone bianco di Castiglia, e profumava di olio d’oliva, ma anche di coriandolo e quella che pensava fosse maggiorana, e … di quelle che potevano forse essere foglie di geranio? Non vedeva o sentiva l’odore di una pianta di geranio da quando aveva lasciato l’Inghilterra, e questo gli diede un breve senso di dislocazione, e una sensazione vivida della serra di sua Zia Minnie, fragrante di fiori stranieri e di contorta vegetazione esotica.
Il pensiero lo fece sentire più stabile. Non importava cosa gli riservasse il futuro, aveva ancora sia un passato che un presente, e questi dovevano essere sufficienti a fargli mantenere la calma interiore di fronte a ciò che sarebbe potuto accadere.
Rinfrescato e ben rasato, scese le scale, pronto a vedere cosa implicava esattamente “mettere a posto”.