domenica 4 ottobre 2020

Bees: Casa

Era una casa grande. E sembrava ancora più grande con solo due persone e un cane all’interno.
Fanny, privata della compagnia, mi stava appiccicata come una piccola nappola, con i suoi passi che echeggiavano dietro di me – e il tic-tic-tic di quelli di Bluebell dietro i suoi – mentre andavo avanti e indietro dall’ambulatorio alla cucina al salotto e di nuovo all’ambulatorio, tutte e tre sempre consapevoli delle camere da letto vuote di sopra e del lontano, indistinto e vuoto terzo piano più in alto, le sue mura una spettrale foresta di montanti verticali, le finestre senza vetri ancora coperte da listelli per tenere fuori la pioggia e la neve fino a che il Mastro scomparso non fosse tornato per finire i lavori lasciati incompiuti.
L’avevo invitata a dividere la mia camera da letto e avevamo trasportato il letto estraibile dalla stanza dei bambini. Era un conforto sentire il respiro l’una dell’altra durante la notte, qualcosa di caldo e veloce, che quasi sovrastava il lento, freddo respirare della casa intorno a noi – quasi impercettibile, ma certamente lì. Specialmente al tramonto, quando le ombre cominciavano a risalire le mura come una marea silenziosa, versando l’oscurità nella stanza.
Ogni tanto mi ero svegliata all’alba trovando Fanny nel mio letto, rannicchiata contro di me per scaldarsi e profondamente addormentata, Bluey distesa in un nido di coperte ai nostri piedi. Il cane alzava la testa quando mi svegliavo, battendo delicatamente la coda leggera sul letto, ma non si muoveva finché non lo faceva Fanny.
“Torneranno,” la rassicuravo, ogni giorno. “Tutti. Dobbiamo solo restare impegnate finché non lo faranno.”
Ma Fanny non aveva mai vissuto un giorno da sola nella sua vita. Non sapeva come affrontare la solitudine, per non parlare di una solitudine piena della minaccia dei propri pensieri.
“E se…?” era il costante ritornello dei suoi pensieri. Il fatto che fosse anche il ritornello – pur se silenzioso – dei miei non aiutava.
“Pensate che le case siano vive?” Disse Fanny senza riflette un giorno.
“Si, ne sono sicura,” dissi piuttosto assente.
“Davvero?” gli occhi rotondi di Fanny mi riportarono al presente. Stavamo rammendando calze davanti al fuoco, avendo terminato le faccende della mattina e pranzato. Avevamo dato da mangiare ai maiali, messo fieno asciutto alle altre bestie e munto la mucca e le due capre – avrei dovuto fare il burro il giorno dopo, mettere da parte un paio di secchi per la produzione di formaggio e mandare il resto del latte in accesso giù da Bobby Higgins.
“Be’… sì,” dissi lentamente. “Penso che qualsiasi luogo in cui la gente vive per molto tempo probabilmente assorba un po’ da loro. Sicuramente le case influenzano le persone che ci vivono – perché non dovrebbe funzionare in entrambi i sensi?
“In entrambi i sensi?” sembrava dubbiosa. “Volete dire che ho lasciato una parte di me al bordello – e ho portato una parte del bordello con me?”
“Non è così?” Chiesi dolcemente. Il suo viso divenne vuoto per un momento, ma poi la vita tornò nei suoi occhi.
“Sì,” disse, ma era diffidente adesso, e non aggiunse più nulla.

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