domenica 27 settembre 2020

Bees: Prigioniero

William esaminò il suo fazzoletto con fare critico. Non ne era rimasto molto; avevano provato a legargli  polsi con quello e lui lo aveva fatto a brandelli togliendoselo. Ancora… Ci soffiò dentro il naso, molto delicatamente. Ancora sanguinante, e tamponò la perdita con cautela. Dei passi stavano salendo le scale della taverna verso la stanza dove era seduto, sorvegliato da due soldati diffidenti.
“Ha detto di essere… chi..?” disse una voce seccata fuori dalla stanza. Qualcuno disse qualcosa in risposta, ma si perse nel raschiare della porta sul pavimento irregolare mentre si apriva. Si alzò in piedi lentamente e si allungò in tutta la sua altezza, fronteggiando l’ufficiale – un maggiore dei dragoni – che era appena entrato. Il maggiore si fermò improvvisamente, obbligando pure i due uomini dietro di lui a fermarsi.
“Ha detto di essere il fottuto nono Conte di Ellesmere,” disse William in un tono aspro e minaccioso, e fissò il maggiore con l’occhio che ancora poteva aprire.
“In effetti, lo è,” disse una voce più bassa, che sembrava sia divertita che familiare. William sgranò gli occhi verso l’uomo che stava entrando nella stanza, una figura snella, dai capelli scuri in uniforme da capitano di fanteria. “…Capitano... Lord Ellesmere, infatti. Salve William.”
“Ho rinunciato al mio incarico,” disse William in tono piatto. “Salve, Denys.”
“Ma non al vostro titolo” Denys Randall lo guardò con attenzione, ma si astenne dal commentare il suo aspetto.
“Avete rinunciato al vostro incarico?” Il maggiore un tipo tarchiato e giovanile che sembrava avere i pantaloni troppo stretti, lanciò a William un’occhiata sgradevole. “Per cambiare casacca e unirvi ai ribelli, ho indovinato?”
William, prese fiato, due volte, per evitare di dire qualcosa di avventato.
“No,” disse, con voce ostile.
“Naturalmente no,” disse Denys, rimproverando gentilmente il maggiore. Si girò verso William. “E naturalmente avete viaggiato con una compagnia della milizia Americana perché...?”
“Non stavo viaggiando con loro,” disse William, riuscendo a non aggiungere “cretino” alla sua affermazione. “Ho incontrato i gentiluomini in questione l’altra sera in una taverna, e gli ho vinto una considerevole somma a carte. Ho lasciato la taverna presto questa mattina e ho ripreso il mio viaggio, ma loro mi hanno seguito, con l’ovvia intenzione di riprendersi il denaro con la forza.”
“Ovvia intenzione?” gli fece eco il maggiore scettico. “Come avete percepito tale intenzione? Sir,” aggiunse con riluttanza.
“Immagino che essere seguito e prenderle di santa ragione sia stata un’indicazione abbastanza inequivocabile,” disse Denys. “Sedetevi Ellesmere; state sgocciolando sul pavimento. Sono riusciti di fatto a riprendersi il denaro?” Tirò fuori un enorme fazzoletto, bianco dalla manica e lo porse a William.
“Si. Insieme a tutto il resto nelle mie tasche. Non so cosa sia successo al mio cavallo.” Si tamponò il fazzoletto contro il labbro spaccato. Poteva sentire il profumo della colonia di Randall su di esso, nonostante il suo naso gonfio – un’autentica Eau de Cologne, che profumava di Italia e legno di sandalo. Lord John la usava ogni tanto, e l’aroma lo confortò un poco.
“Quindi sostenete di non sapere niente degli uomini con cui vi abbiamo trovato?” disse l’altro ufficiale, un tenente, un uomo di circa l’età di William, un uomo impaziente come un terrier. Il maggiore gli lanciò uno sguardo di antipatia, che indicava che non pensava di aver bisogno di assistenza nell’interrogare William, ma il tenente non se ne curò. “Sicuramente se stavate giocando a carte con loro, dovete aver raccolto alcune informazioni?”
“Conosco alcuni dei loro nomi,” disse William, sentendosi improvvisamente molto stanco. “Questo è tutto.”
In effetti non era tutto, per niente, ma non voleva parlare delle cose che aveva saputo – che Abbot era un fabbro e aveva un cane intelligente che lo aiutava alla forgia, portando piccoli attrezzi o fascine per il fuoco quando lui glielo chiedeva. Justin Martineau aveva una nuova moglie, al cui letto desiderava ardentemente tornare. La moglie di Geoffrey Garland faceva la migliore birra del villaggio, e quella di sua figlia era quasi altrettanto buona, anche se non aveva più di dodici anni. Garland era uno degli uomini che il capitano aveva scelto per l’impiccagione. Deglutì, la sua gola secca per la polvere e per le parole non dette.
Era sfuggito al cappio principalmente grazie alla sua capacità di imprecare in latino, che aveva sconcertato il capitano abbastanza a lungo perché William identificasse sé stesso, il suo vecchio reggimento, e una lista di illustri ufficiali dell’esercito che avrebbero garantito per lui, a cominciare dal Generale Clinton (Dio, dov’era Clinton adesso?)
Denys Randall stava sussurrando al maggiore, che sembrava ancora contrariato, ma era passato da un’ebollizione completa a una scontenta cottura a fuoco lento. Il tenente stava guardando William attentamente, con occhi socchiusi, aspettandosi evidentemente che balzasse dalla panca e si mettesse a correre. L'uomo continuava inconsciamente a toccare la sua scatola di cartucce e poi la sua pistola nella fondina, immaginando chiaramente la meravigliosa possibilità di poter sparare a William mentre correva verso la porta. William sbadigliò, terribilmente e inaspettatamente, e rimase seduto sbattendo le palpebre, un'improvvisa stanchezza lo attraversò come la marea
Proprio in quel momento, davvero non gli importava di cosa sarebbe successo dopo.

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