venerdì 5 aprile 2019

Bees: Torta di mele

Un po’ di tempo dopo, eravamo distesi rannicchiati insieme, nudi nella notte fresca, felici nel calore del corpo dell’altro. La luna stava tramontando a ovest, un frammento d’argento che lasciava brillare le stelle. Il telo pallido frusciava e mormorava sulla nostra testa, e il profumo di abete, quercia e cipresso ci circondava, e una casuale lucciola, distratta dalla sua attività dalla corrente del vento, atterrò sul cuscino vicino alla mia testa e si fermò per un momento, il suo addome che pulsava con una luce verde fredda e regolare.
“Oidche mhath, a charaidh,” gli disse Jamie. Lei agitò le sue antenne in maniera amabile e volò via, girando in tondo verso il lontano barlume dei suoi compagni al suolo.
“Vorrei che potessimo mantenere così la nostra camera da letto,” dissi in maniera malinconica, guardando la sua luce scomparire nell’oscurità di sotto. “È così bello, essere parte della notte.”
“Non tanto quando piove.” Jamie sollevò il mento verso il nostro soffitto di tela. “Dinna fash, comunque; faro un tetto solido prima che cada la neve.”
“Suppongo che tu abbia ragione,” dissi, e risi. “Ti ricordi il nostro primo capanno, quando pioveva e il tetto perdeva? Tu insistesti per andare su e aggiustarlo sotto la pioggia a dirotto e completamente nudo.”
“Be’, e di chi fu la colpa?” chiese, comunque senza rancore. “Non volevi lasciarmi salire con la camicia, che scelta avevo?”
“Essendo tu nessuna.” Mi girai e lo baciai. “Sai di torta di mele. Ne è rimasta un po’?
“No, vado di sotto e te ne prendo un poco, però.”
Lo fermai con una mano sul braccio.
“No, non farlo. Non ho veramente fame e preferirei rimanere semplicemente così, Mm?”
“Mmphm.”
Rotolò verso di me, quindi, scese giù dal letto e si sollevò tra le mie cosce.
“Che stai facendo?” domandai, mentre si sistemava comodamente in posizione.
“Pensavo che fosse ovvio, Sassenach.”
“Ma hai appena mangiato una torta di mele!”
“Non era quel ripieno.”
“Questo… non era proprio quello che intendevo…” I suoi pollici stavano accarezzando premurosamente la parte superiore delle mie cosce e il suo respiro caldo stava muovendo i peli del mio corpo in un modo che mi turbava.
“Se hai paura delle briciole, Sassenach, dinna fash, le toglierò dopo che avrò finito. Hai detto che i babbuini lo fanno? O erano pulci?”
“Io non… ho… le pulci,” fu tutto quello che mi riuscì come risposta arguta, ma lui rise, sistemò le spalle e si mise al lavoro.”
“Mi piace quando urli, Sassenach,” mormorò un po’ dopo, fermandosi per respirare.
“Ci sono i bambini al piano di sotto!” sibilai, le dita sepolte nei suoi capelli.
“Be’, cerca di sembrare un leone di montagna, allora…”

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