domenica 26 agosto 2018

Bees: Ritorno a casa

William sentì odore di fumo. Non fumo di camino o di incendio; solo un pungente odore di cenere, venato di carbone, grasso e – prese un respiro profondo… pesce. Non proveniva dalla casa fatiscente; il camino era crollato, portando con sé parte del tetto, e un grande rampicante dalle foglie rosse copriva la distesa di sassi e assicelle in frantumi. C’erano anche alberelli di pioppo che crescevano attraverso le assi piegate del piccolo portico; la foresta aveva cominciato il suo lavoro clandestino di recupero. Ma la foresta non affumicava la sua carne. C’era qualcuno lì.
Smontò e legò Bart al ramo di un albero, poi si diresse verso la casa, muovendosi con cautela. Potevano essere Indiani a caccia, suppose, che affumicavano le loro prede prima di trasportarle in qualunque posto da cui venissero.
Si fece strada attraverso i residui del frutteto incolto, verso l’odore di fumo. Era affamato, ma ignorò il brontolio del suo stomaco. Non era in disaccordo con i cacciatori, ma se fossero stati abusivi che pensavano di subentrare nella proprietà, potevano pensare ad altro. La piantagione di Mount Josiah era l’unico posto sulla terra che lui sentiva appartenergli veramente; glielo aveva lasciato Madre Isobel; era stato una sua proprietà personale.
Per legge, supponeva di essere ancora il nono Conte di Ellesmere. Aveva compiuto ventuno anni a gennaio e tecnicamente ora aveva la facoltà di fare quello che voleva con la proprietà. Stava cercando di non pensarci.
Per la maggior parte della sua vita, quel titolo era stato solo come un altro pezzo del suo nome, in sé non più importante di Clarence o George. Ora il titolo era disgustosamente pesante, come un gatto morto appeso a una fune intorno al suo collo, rigonfio di tutte le proprietà e gli affittuari e le fattorie e le residenze che vi appartenevano. Al titolo… non a lui.
Ma questo posto apparteneva a William Ransom.
Portava la sua pistola carica, ma non innescata in caso di incidente. Si prese un momento per innescarla ora, spingendola di nuovo nella fondina prima di camminare attorno all’angolo della casa.
Erano indiani o uno almeno. Un uomo mezzo nudo accovacciato all’ombra di un grande albero di faggio, che si prendeva cura di un piccolo focolare coperto con della iuta umida; William poteva sentire l’odore pungente di ciocchi di noce americano tagliati da poco, mescolato con l’odore intenso di sangue e di bruciato. L’indiano – sembrava giovane anche se grosso e molto muscoloso – dava la schiena a William a stava ripulendo con destrezza la carcassa di un piccolo maiale, tranciando fette di carne e gettandole in un mucchio su un sacco appiattito di iuta steso accanto al fuoco.
“Salve,” disse William alzando la voce. L’uomo si guardò intorno, sbattendo gli occhi contro il fumo e allontanandoselo con la mano dalla faccia. Si alzò lentamente, il coltello che stava usando ancora nella sua mano, ma William aveva parlato abbastanza gentilmente, e lo sconosciuto non era minaccioso. E non era neanche uno sconosciuto. Uscì dall’ombra dell’albero, la luce del sole colpì i suoi capelli, e William percepì uno shock di sorpreso riconoscimento.
Così fece il giovane uomo, dall’espressione della sua faccia.
“Tenente?” disse, incredulo. Guardò velocemente William su e giù, registrando la mancanza di uniforme, e i suoi occhi scuri si fissarono sulla faccia di William. “Tenente… Lord Ellesmere?”
“Lo ero. Mr. Cinnamon, vero?” Non poté fare a meno di sorridere mentre diceva il nome, e la bocca dell’altro si contorse ironicamente in segno di riconoscimento. I capelli del giovane ora erano lunghi non più di due centimetri, ma solo una completa rasatura avrebbe nascosto il suo distintivo colore marrone rossastro o la sua esuberante arricciatura. Un orfano della missione canadese, doveva il suo nome ad esso.
“John Cinnamon, sì. Servo vostro… sir.” L’ex scout gli fece un mezzo inchino presentabile, anche se la parola “sir” vene detta quasi come una domanda.
“William Ransom. Servo vostro, sir,” disse William, sorridendo, e allungò la mano. John Cinnamon era qualche centimetro più basso di lui, e qualche centimetro più largo; lo scout era cresciuto negli ultimi due anni e possedeva una stretta di mano molto solida.
“Confido che perdonerete la mia curiosità, Mr. Cinnamon – ma come diavolo avete fatto ad essere qui?” chiese William, lasciandolo andare. Aveva visto John Cinnamon l’ultima volta due anni prima, in Canada, dove aveva passato gran parte di un lungo e freddo inverno cacciando e mettendo trappole in compagnia dello scout mezzo indiano, che era quasi suo coetaneo.
Si chiese brevemente se Cinnamon non fosse venuto in cerca di lui, ma era assurdo. Non pensava di aver mai menzionato Mount Josiah all’uomo – e anche se lo avesse fatto, Cinnamon non poteva essersi aspettato verosimilmente di trovarlo lì. Non era stato lì da quando aveva sedici anni.
“Ah.” Con sorpresa di William, un lento rossore inondò gli zigomi larghi di Cinnamon. “Io.. er… Io… Be’, ero sulla strada verso sud.” Il rossore crebbe più profondamente.
William sollevò un sopracciglio. Mentre era vero che la Virginia era a sud di Quebec e che c’era una buona quantità di paesi ancora più a sud, Mount Josiah non era sulla strada per nessuna parte. Nessuna strada portava lì. Lui stesso aveva risalito il fiume con il suo cavallo su una zattera fino Breaks, quel tratto con cascate e acqua turbolenta dove la terra improvvisamente collassava su sé stessa e bloccava il viaggio dell’acqua. Aveva visto solo tre persone mentre cavalcava sulla strada sopra il Breaks – e tutti e tre si dirigevano nell’altra direzione.
Improvvisamente, comunque, le ampie spalle di Cinnamon si rilassarono e lo sguardo di diffidenza venne cancellato dal sollievo.
“In effetti, sono venuto a trovare il mio amico,” disse e fece un cennò con la testa verso la casa. William si girò velocemente, per vedere un altro indiano che si faceva strada attraverso il cespuglio di lamponi che ricopriva quello che una volta era un piccolo prato di croquet.
“Manoke!” disse. Poi urlò “Manoke!”, facendo alzare lo sguardo all’uomo più anziano. La faccia del vecchio indiano si illuminò di gioia, e un’improvvisa semplice gioia inondò il cuore di William, purificante come una pioggia di primavera.
L’indiano era agile e asciutto come era sempre stato, il suo viso un poco più grinzoso. I suoi capelli odoravano di fumo di legna quando William lo abbracciò, e il grigio tra loro era dello stesso colore tenue, ma erano ancora fitti e ruvidi come sempre – poteva vedere questo facilmente; stava guardando dall’alto in basso, la guancia di Manoke premuta nella sua spalla.
“Che hai detto?” chiese, lasciando Manoke.
“Ho detto, ‘Accidenti, quanto sei cresciuto, ragazzo,” disse Manoke sorridendogli. “Hai bisogno di cibo?”
by Diana Gabaldon
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