”Nay, io starò b….”
“Non mi importa se stai bene o no,” dissi. “Ho detto, sta giù.”
“Devo lavorare a…”
“Starai sdraiato per un altro minuto.” Dissi. “Stenditi. Giù.”
Aprì la bocca, ma uno spasmo di dolore gli fece chiudere gli occhi, e non riuscì a trovare parole per discutere. Deglutì, aprì gli occhi e si sedette accanto a me, con molta cautela. Stava respirando piano e superficialmente, come se prendere un respiro profondo potesse peggiorare le cose.
Mi alzai, lo presi per le spalle e lo girai delicatamente in modo da raggiungere la sua treccia. Sciolsi il nastro e sbrogliai le spesse ciocche di capelli ramati. Erano ancora per la maggior parte rossi, sebbene morbidi fili bianchi catturassero la luce qui e la.
“Giù,” dissi di nuovo, sedendomi e tirando le sue spalle verso di me. Gemette un po’, ma smise di resistere e si abbassò molto lentamente, finché la sua testa giacque pesante sul mio grembo. Toccai il suo viso, le mie dita leggere come una piuma sulla sua pelle, tracciando le ossa e le depressioni, le tempie e le orbite, gli zigomi e la mascella. Poi feci scivolare le dita nella massa morbida dei suoi capelli, calda nelle mie mani e feci lo stesso con il suo cuoio capelluto. Lasciò andare il respiro, con cautela, e io sentii il suo corpo sciogliersi, diventare più pesante mentre si rilassava.
“Dove ti fa male?” Mormorai, facendo cerchi molto leggeri intorno alle sue tempie con i pollici. “Qui?”
“Aye…ma…” Sollevò una mano, a occhi chiusi, e la mise a coppa sull’occhio destro. “Sento come una freccia dritta nel cervello.”
“Mmm.” Feci pressione con il pollice delicatamente intorno alle orbite degli occhi e feci scivolare l’altra mano sotto la testa, sondando la base del cranio. Potevo sentire i muscoli legati lì, duri come una noce sotto la pelle. “Bene, allora.”
Tolsi le mani e lui lasciò uscire il respiro.
“Non ti farà male.” Lo rassicurai raggiungendo il vasetto di unguento blu.
“Fa male,” disse stringendo le palpebre non appena lo raggiunse un nuovo spasmo.
“Lo so” Misi giù il vasetto, e lasciato stare, la fragranza forte di menta piperita, canfora e pepe verde profumò l’aria.
Non replicò, ma si sistemò quando cominciai a massaggiargli l’unguento delicatamente sul collo, alla base del cranio, sulla pelle della fronte e delle tempie. Non potevo usare l’unguento troppo vicino agli occhi, ma ne misi una piccola quantità sotto il suo naso e lui prese un respiro lento e profondo. Avrei voluto fare un impiastro fresco per l’occhio quando avessi finito. Per ora, però…
“Ti ricordi,” dissi, la mia voce era lenta e calma. “di avermi detto una volta della visita a Uccello che Canta al Mattino? E di come sua madre venne e pettinò i tuoi capelli?”
“Aye,” disse dopo un momento di esitazione. “Disse…che voleva rimuovere i serpenti dai miei capelli.” Un’altra esitazione. “Lei…lo fece.”
Chiaramente, ricordava…e così io ricordavo quello che mi aveva detto in proposito. Come lei aveva delicatamente pettinato i suoi capelli, ancora e ancora, mentre lui le raccontava...in una lingua che lei non parlava…le preoccupazioni nel suo cuore. Senso di colpa, angoscia...e le facce dimenticate degli uomini che aveva ucciso.
C’è un punto, proprio dove l’arco dello zigomo si unisce alla mascella dove i nervi sono spesso infiammati e sensibili…si proprio lì. Feci pressione con il mio pollice in quel punto e lui rimase a bocca aperta e si irrigidì. Misi l’altra mano sulla sua spalla.
“Shh. Respira.”
Il respiro gli venne fuori con un piccolo gemito. Tenni il punto, premendo più forte, muovendo il pollice appena un poco e dopo un lungo momento, sentii il punto caldo e sembrava sciogliersi sotto il mio tocco. Anche lui lo sentì e il suo corpo si rilassò di nuovo.
“Lasciamelo fare per te” dissi dolcemente. Il pettine di legno che mi aveva fatto stava sul tavolo accanto al vasetto di unguento. Con una mano ancora sulla sua spalla, lo presi.
“Io…no, non voglio...” Ma stavo passando il pettine delicatamente tra i suoi capelli, i denti di legno gentili contro la sua pelle. Ancora e ancora, molto lentamente.
Non dissi nulla per un po’ di tempo. Respirava. La luce andava in basso ora, il colore del miele di millefiori, e lui era caldo nelle mie mani, il suo peso greve sul mio grembo.
“Parlami” Gli dissi alla fine, in un sussurro non più forte della brezza attraverso la finestra aperta. “Non ho bisogno di sapere, ma tu hai bisogno di dirmelo. Dillo in gaelico, o italiano o tedesco…una lingua che io non capisco se è meglio. Ma dillo.”
Il suo respiro divenne un poco più veloce, e lui si tese, ma io continuai con il pettine con lunghe uniformi carezze che si allargavano sulla sua testa e districavano i suoi capelli in una morbida, lucente massa sopra la mia coscia. Dopo un istante, aprì gli occhi scuri e in parte messi a fuoco.
“Sassenach?” disse dolcemente
“Mm?”
“Io non conosco nessuna lingua che penso tu non capiresti.”
Respirò ancora una volta, chiuse gli occhi, e cominciò a parlare esitante, la sua voce sommessa come il battito del mio cuore.
Traduzione di Iolanda
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