Dopo un po’ di tempo, Hal si alzò e vagò per il corridoio fino all’angolino che usava come studio. Era grande come un guscio d’uovo, ma lui non aveva bisogno di molto spazio – e sembrava che confini ristretti lo aiutassero a pensare meglio,
Prese una penna dal vaso e la morse assente, sentendo il gusto aspro dell’inchiostro secco. Avrebbe dovuto tagliarne un’altra ma non riusciva a raccogliere le energie per cercare il suo coltellino, ma dopo tutto che importava? A John non sarebbe importata qualche macchia.
Carta…c’era in mezzo quaderno di fogli che aveva usato per rispondere alle espressioni di condoglianze per Esmé. Erano arrivate in grande quantità - a differenza della spruzzata di note imbarazzanti che avevano seguito il suicidio di suo padre tre anni prima. Aveva scritto lui stesso le risposte, nonostante l’offerta di aiuto da parte di sua madre. Era stato riempito da qualcosa di simile al fluido elettrico di cui parlavano i filosofi naturalisti, qualcosa che intorpidiva qualsiasi necessità fisica come mangiare o dormire, che riempiva il suo cervello e il suo corpo con un maniacale bisogno di muoversi, di fare qualcosa – anche se Dio sapeva che non c’era niente di più che lui potesse fare dopo aver ucciso Nathaniel Twelvetrees. Non che non ci avesse provato…
La carta sembrava ruvida per la polvere; non lasciava che nessuno toccasse la sua scrivania. Prese un foglio e soffiò, lo scosse un poco, e lo mise giù, poi bagnò la sua penna.
J – scrisse, e si fermò. Cosa c’era da dire? - Prego Dio che non sia morto? Hai visto qualche estraneo fare domande? Come trovi Aberdeen? Eccetto che fredda, umida, triste e grigia.
Dopo aver giocherellato con la penna per un po’, si arrese, scrisse, _Buona fortuna. – H_ Lo passò con la sabbia, lo piegò, e, prendendo la candela, fece sgocciolare la cera color fumo sul foglio e la timbrò deciso con il suo sigillo. Un cigno, in volo, il collo disteso verso la luna piena.
Un’ora dopo Hal era ancora seduto alla scrivania. C’era stato un progresso: la lettera di John stava lì, disposta nell’angolo della scrivania, sigillata con l’indicazione di Armstrong ad Aberdeen scritta ordinatamente con una penna appena tagliata. Il gruppo di fogli di pergamena era stato liberato dalla polvere, allineato e messo via in un cassetto. E lui aveva trovato l’origine dell’odore di fiori morti; un mazzo di garofani fradici lasciati in un vaso di ceramica sul davanzale. Era riuscito ad aprire la finestra e a buttarli fuori e aveva chiamato un valletto per portare via il vaso per essere lavato. Era esausto.
Si rese conto di rumori in lontananza; il rumore della porta d’ingresso che veniva aperta, voci. Era tutto a posto; Sylvester si sarebbe preso cura di chiunque fosse.
Con sua sorpresa il maggiordomo sembrava essere stato oltrepassato dall’intruso; c’erano voci alte e un passo determinato che procedeva rapidamente verso il suo studio privato.
“Che diavolo stai facendo Melton?”. La porta si spalancò e la faccia di Harry Quarry lo guardò in cagnesco.
“Scrivo lettere” disse Hal, con tutta la dignità a cui poteva fare appello. “Cosa ti sembra?”
Harry avanzò a grandi passi nella stanza, accese una candela dal fuoco e accese il candelabro sulla scrivania. Hal non aveva fatto caso che era sempre più scuro, doveva essere almeno l’ora del tè. Il suo amico abbassò il candelabro e lo esaminò in maniera critica alla sua luce.
“Non vuoi sapere cosa sembri” disse Harry scuotendo la testa. Mise giù le candele. “Non ti sei ricordato che ti eri proposto di incontrare Washburn questo pomeriggio, l’ho fatto io”
“Wash – oh Gesù” Si alzò a metà dalla sedia a quel nome e vi sprofondò, sentendosi svuotato all’accenno del suo avvocato.
Ho passato l’ultima ora con lui dopo l’incontro con Anstruther e Josper – tu ricordi l’aiutante di campo del 14simo?” Parlò con una forte nota di sarcasmo.
“Si” Disse Hal brevemente e si strofinò le mani sul viso energicamente, provando a risvegliare le sue facoltà mentali.
“Mi dispiace, Harry” disse e scosse la testa. Si alzò, tirando il suo fico del Banyan verso di lui. “Chiama Nasonby, vuoi? Deve portarci il tea nella libreria. Devo cambiarmi e lavarmi.”
Lavato, vestito, spazzolato e sentendo una parvenza di capacità, andò nella libreria un quarto d’ora dopo, trovando il tavolino da tè già pronto e un filo di vapore aromatico che saliva dal beccuccio della teiera, mescolandosi con i profumi speziati di prosciutto e sarde e l’untuosa dolcezza di una torta di ribes che trasudava burro.
“Quando è stata l’ultima volta che hai mangiato qualcosa?” Domandò Harry, guardando Hal mangiare sarde sui toast con la caparbietà di un gatto affamato.
“Ieri. Forse. Mi sono dimenticato” Prese la sua tazza e annaffiò le sarde abbastanza da rendere la torta fattibile come passo successivo.
Harry divorò la sua torta, deglutendo e replicò.
“Dunque, non puoi effettivamente essere processato in un’udienza pubblica. Qualunque cosa pensi del tuo dannato titolo – no non dirmelo, l’ho sentito.“Tese il palmo di una mano per prevenire, prendendo un cetriolino con l’altra.
“Se scegli di chiamarti duca, conte o semplicemente Harold Gray, sei ancora un pari. Non puoi essere processato da nessuno salvo una giuria di tuoi pari, cioè dalla Camera dei Lords. E non c’era bisogno che Washburn mi dicesse che le probabilità che centinaia di nobiluomini concordino che tu dovresti essere imprigionato o appeso per aver sfidato a duello l’uomo che ha sedotto tua moglie e per averlo ucciso, sono approssimativamente mille a uno – ma lui me lo ha detto.
“Oh”. Hal non aveva dedicato alla questione un attimo di riflessione, ma se lo avesse fatto sarebbe arrivato probabilmente alla stessa conclusone, nondimeno sentiva un po’ sollievo, sentendo che l’Onorevole Lawrence Washburn, KC, la condivideva.
“Bada – hai intenzione di mangiare l’ultima fetta di prosciutto?”
“Si”. Hal la prese e raggiunse il vasetto di mostarda. Harry, invece, prese un sandwich all’uovo.
“Bada” ripeté con la bocca mezza piena di uova ripiene e una sottile fetta di pane bianco “questo non significa che tu non sia nei guai.”
“Intendi Reginald Twelvetees, immagino” Hal abbassò gli occhi nel suo piatto, tagliando attentamente il prosciutto a pezzi.
“Non ci avrei mai pensato, no” Ammise Harry “Io intendevo il re”
Hal posò la forchetta e fissò Harry
“Il re?”
“O per essere più esatti, l’esercito” Harry afferrò delicatamente un biscotto alle mandorle da ciò che rimaneva del tavolino da tea.“Reginald Twelvetrees ha portato una petizione al Generale [ ] chiedendo che tu venga portato davanti a una corte marziale per l’omicidio illegale di suo fratello e inoltre che tu sia rimosso dalla carica di colonnello del 46-simo, sulla base del fatto che il tuo comportamento è così preoccupante da costituire un pericolo per la prontezza e la capacità di detto regimento. È qui che arriva Sua Maestà.”
“Sciocchezze” Disse Hal brevemente. Ma la sua mano tremò leggermente mentre sollevava la teiera e il coperchio tintinnò. Vide Harry osservarlo e la posò con attenzione.
Quello che il re da, il re anche toglie. C’erano voluto mesi di diligente lavoro per avere ri-commissionato il reggimento di suo padre e molto – moltissimo - per trovare ufficiali decenti che volessero unirsi a esso.
“Gli scribacchini” Harry cominciò, ma Hal fece un rapido gesto violento, interrompendolo.
“lo so”
“No non lo sai”
“Si! Non parlare di questo, dannazione”
Harry emise un leggero grugnito. Prese la teiera e riempì entrambe le tazze spingendo quella di Hal verso di lui.
“Zucchero?”
“Per favore”
Il regimento – nella sua forma resuscitata – non aveva ancora prestato servizio da nessuna parte: aveva appena la metà degli uomini e la maggior parte di loro non distingueva l’estremità di un moschetto dall’altra. Aveva solo uno staff ridotto e mentre la maggior parte dei suoi ufficiali erano uomini buoni e fidati, solo pochi, come Harry Quarry, portavano una fedeltà personale a lui. Una pressione, un accenno di scandalo – bene, più che uno scandalo – e l’intera struttura sarebbe crollata. I resti avidamente raccolti o calpestati da Reginald Twelvetrees, la memoria oscurata del padre di Hal lasciata per sempre disonorata come traditore e il suo stesso nome trascinato ulteriormente nel fango e dipinto dalla stampa non solo come cornuto ma anche come pazzo.
Il manico della tazza di porcellana si ruppe improvvisamente e volò attraverso il tavolo, colpendo il piatto con un tink! La stessa tazza si inclinò di traverso e il tea scorse lungo il suo braccio, inzuppandogli il polsino.
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